Tutto cambierà, nulla sarà cambiato

Appena cominciata l’epidemia, poi pandemia, tutti gli scienziati, commentatori, intellettuali, giornalisti e dopo, solo dopo, anche i politici, hanno detto che questa esperienza lascerà il segno, cambierà le nostre abitudini e che diventeremo migliori.
Nessuno ha fornito l’indicazione temporale perché mentre c’è l’emergenza è normale che la situazione sia diversa dal solito ma quando sarà finita siamo sicuri che tutto sarà cambiato?

Se in una emergenza del genere (con le motivazioni più giuste e politicamente corrette) non riusciamo a uscire dai bizantinismi che caratterizzano la nostra organizzazione amministrativa, perché dopo le cose dovrebbero essere diverse?

Se non si è in grado di cogliere l’attimo e approfittare per rivedere molti aspetti strutturali della nostra società (dall’ambiente alla legalità), perché ci dovremmo aspettare qualcosa di cambiato dopo?
I fiumi, le lagune, le città, l’aria adesso è più pulita ma questo basterà per decidere che bisogna intervenire urgentemente e decisamente per l’ambiente?

Se negli ultimi decenni (spesi a discutere su riscaldamento e inquinamento) non c’è stato un piano decente per incentivare le auto elettriche (la plastica etc.), cosa ci fa pensare che fra uno, due o sei mesi non tornerà tutto come prima?

Se lo smart working (o meglio home working) è percepito da molti come l’occasione per stare a casa in semi-vacanza (quando il rischio è esattamente l’opposto), perché non dovremmo aspettarci che i ‘padroni’ (manager, titolari d’azienda e dirigenti statali) saranno tentati di riportare tutto allo status quo ante? Perché non dovrebbero continuare, cioè, a pensare che il lavoro di un individuo si misura in ore e chilogrammi e non per la qualità di ciò che produce? Perché se di domenica il cervello continua a rimuginare su un determinato problema e il lunedì ci si presenta con la soluzione ne dovrebbero tenere conto? Ciò che non si vede e non si tocca e non può essere pesato non ha valore e quindi non può essere conteggiato; è più importante è che il dipendente sia disposizione costante dell’ansia del capo.

Se in un momento di emergenza, il governo e tutti gli apparati statali non hanno capito che danni può fare la burocrazia (qualcuno potrebbe essere morto a causa sua) e l’illegalità e non riesce a risolvere banali procedure di approvvigionamento mascherine senza inutile modulistica da compilare sostituendole con procedure informatizzate al 100%, perché domani sarà diverso?

Il governo ha stanziato soldi da distribuire ai professionisti che hanno dovuto fermare la propria attività; un’ottima cosa ma perché il cittadino deve essere sottoposto al rito delle richieste (vere e proprie forche caudine visto che il sito web è andato in tilt) quando il fisco ha tutti i dati per sapere a chi spetta un simile aiuto e potrebbe agire in autonomia? Considerato che ci si aspettava un clamoroso flop dell’INPS (sfido chiunque a dire che non immaginava una tale disorganizzazione primo del via) perché forse il suo capo a malapena riesce ad usare uno smartphone figuriamoci comprendere la complessità di un data-center.

Tra le molte persone che hanno subito un tracollo della propria economia ci sono anche il lavoratori in nero che, di solito, sono vittime.
Quale occasione migliore per azzerare il lavoro nero?
Qui si che si poteva attivare una procedura per la distribuzione di aiuti tramite il meccanismo delle richieste (sarebbe stato lecito perché il fisco non conosce i lavoratori in nero) che avrebbe permesso di fare un censimento e dare la caccia agli sfruttatori; un enorme quantità di denaro recuperato.
Se non è chiaro adesso perché mai dopo dovrebbe accadere questo miracolo?

Forse nei rapporti personali qualche dettaglio subirà un ‘aggiornamento’ ma il resto sarà tutto del tutto identico a prima.

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